C’era una volta,
e c’è ancora oggi, nel Sud di quel Paese nordico dal clima rigido e dall’idioma
incomprensibile, un bosco incantato il cui nome terrificante additava già il
suo lato oscuro: la Foresta Nera (Schwarzwald,
come la chiamano gli indigeni).
Questo bosco
magico era abitato da creature di ogni sorta: animali selvatici, docili o
pericolosi, uccelli inquietanti dai rotondi occhi arancioni, scoiattoli lesti e
scaltri ladri di noccioline. Sotto il fogliame strisciavano lenti vermi grassotti
e lumache senza guscio, che lasciavano dietro di sé una scia di bava brillante,
mentre i ragni tessevano le loro tele danzando sulle lunghe zampe sottili. Ma
gli animali non erano i soli abitanti del bosco: quando il sole andava a
coricarsi dietro alla montagna e, dalla cima, la luna faceva capolino
illuminando, con il suo bagliore pallido e spettrale, le cime degli alberi,
anche altre creature uscivano dai loro rifugi: i satiri, sbadigliando e
stiracchiandosi, si recavano alla fonte facendo scricchiolare sotto gli zoccoli
delle loro zampe caprine le foglie secche dell’autunno. I folletti iniziavano
le loro corse a perdifiato intorno agli alberi, scansando con passo agile e
leggero le radici che gli alberi improvvisamente sollevavano per far loro un
dispetto. Le ninfe dai biondi e lunghi capelli intrecciavano corone di fiori e,
come ogni notte, appena le creature magiche del bosco prendevano vita, da una
casetta di legno situata nella parte più scura e impenetrabile della foresta,
risonava una risata tetra. Tutti gli abitanti del bosco sapevano che si
trattava della strega cattiva.
La strega cattiva
era, appunto, la creatura più cattiva di tutta la regione. Non c’era persona
che non la temesse e, dal momento che era cattiva e che tutti la chiamavano
“strega cattiva”, non c’era più nessuno che si ricordasse il suo vero nome. Nessuno
sapeva quanti anni avesse, ma girava voce che ne avesse almeno seicento e
quaranta. Era bassa, secca secca e raggrinzita. La sua pelle era verdognola, ma
odorava di mandarino. Stava tutto il tempo da sola perché non aveva né fratelli
né sorelle e, dal momento che tutti avevano paura di lei, non aveva neppure
amici. Passava il tempo in giro per la foresta a raccogliere piante e radici
per le sue pozioni magiche e inventava delle storie che raccontava a voce alta.
Agli animali del bosco, soprattutto ai ragni e agli scoiattoli, piaceva molto
ascoltarla, così la seguivano (mantenendo la debita di distanza, perché la
sicurezza non è mai troppa quando si tratta di streghe cattive) durante le sue
passeggiate fino a che lei non la smetteva di raccontare. L’unico animale a non
aver paura di lei era una rana parlante, che le saltellava sempre intorno e con
la quale ogni tanto la strega intratteneva lunghi discorsi. Purtroppo però
parlare con lei era difficile perché la rana aveva un grande difetto: non era
capace di pronunciare i sostantivi e dei verbi conosceva soltanto l’imperativo –
e immaginate la difficoltà di cercare di dialogare con qualcuno che risponde
soltanto con imperativi, avverbi, preposizioni e aggettivi. Ma alla strega
piaceva parlare ed era contenta che qualcuno la ascoltasse, così non si lagnava
mai del problema della rana ed era contenta di raccontarle le sue storie.
Alla strega
cattiva non piacevano: le principesse dal sorriso smagliante, i principi in
calzamaglia, i dolci alla cannella e le voci di tenore.
Alla strega
cattiva piacevano: le storie in cui alla fine vincevano i cattivi, gli orchi
barbuti, i draghi sputafuoco e le canzoni che gli sciamani, di tanto in tanto,
intonavano intorno al fuoco.
Da qualche tempo
la strega cattiva era diventata ancora più cattiva perché si era innamorata di
un orco che incontrava ogni notte nei pressi della fonte, ma non riusciva a
dichiararsi. Quando la strega cattiva si innamorava, ormai lo sapeva, non
riusciva a mangiare e questa fame insoddisfatta la rendeva ancora più
irascibile e, appunto, più cattiva.
L’orco di cui la
strega si era innamorata era un cantastorie – e proprio questo era ciò che lei
amava di più. Ogni giorno lui stava seduto su una roccia vicino alla fonte e
cantava le sue storie circondato da ninfe che intrecciavano per lui corone di
fiori. Anche la strega cattiva ascoltava le sue storie, ma nascosta,
rannicchiata ora dietro il tronco di un albero, ora dietro un cespuglio. Anche quella
notte la strega cattiva stava seduta ad ascoltare la voce dell’orco
cantastorie, con il cuore in subbuglio e le farfalle nello stomaco. Lo guardava
con gli occhi degli innamorati e lo vedeva perfetto. “Non mi vorrà mai bene”
disse sospirando alla rana parlante e lei le rispose “Spera!”.
Ma la strega non
credeva nella speranza e, quando l’orco terminò di cantare la sua storia,
quatta quatta si allontanò. Non si accorse che lo sguardo dell’orco la stava
cercando, non sapeva che, ogni notte, lui non faceva che aspettarla mentre
cantava le sue storie. Non sapeva (ancora) che anche l’orco l’amava e, da
qualche tempo, tutti i suoi pensieri erano rivolti soltanto a lei…