domenica 11 febbraio 2018

C'era una volta una strega cattiva... (prima parte)



C’era una volta, e c’è ancora oggi, nel Sud di quel Paese nordico dal clima rigido e dall’idioma incomprensibile, un bosco incantato il cui nome terrificante additava già il suo lato oscuro: la Foresta Nera (Schwarzwald, come la chiamano gli indigeni).
Questo bosco magico era abitato da creature di ogni sorta: animali selvatici, docili o pericolosi, uccelli inquietanti dai rotondi occhi arancioni, scoiattoli lesti e scaltri ladri di noccioline. Sotto il fogliame strisciavano lenti vermi grassotti e lumache senza guscio, che lasciavano dietro di sé una scia di bava brillante, mentre i ragni tessevano le loro tele danzando sulle lunghe zampe sottili. Ma gli animali non erano i soli abitanti del bosco: quando il sole andava a coricarsi dietro alla montagna e, dalla cima, la luna faceva capolino illuminando, con il suo bagliore pallido e spettrale, le cime degli alberi, anche altre creature uscivano dai loro rifugi: i satiri, sbadigliando e stiracchiandosi, si recavano alla fonte facendo scricchiolare sotto gli zoccoli delle loro zampe caprine le foglie secche dell’autunno. I folletti iniziavano le loro corse a perdifiato intorno agli alberi, scansando con passo agile e leggero le radici che gli alberi improvvisamente sollevavano per far loro un dispetto. Le ninfe dai biondi e lunghi capelli intrecciavano corone di fiori e, come ogni notte, appena le creature magiche del bosco prendevano vita, da una casetta di legno situata nella parte più scura e impenetrabile della foresta, risonava una risata tetra. Tutti gli abitanti del bosco sapevano che si trattava della strega cattiva.
La strega cattiva era, appunto, la creatura più cattiva di tutta la regione. Non c’era persona che non la temesse e, dal momento che era cattiva e che tutti la chiamavano “strega cattiva”, non c’era più nessuno che si ricordasse il suo vero nome. Nessuno sapeva quanti anni avesse, ma girava voce che ne avesse almeno seicento e quaranta. Era bassa, secca secca e raggrinzita. La sua pelle era verdognola, ma odorava di mandarino. Stava tutto il tempo da sola perché non aveva né fratelli né sorelle e, dal momento che tutti avevano paura di lei, non aveva neppure amici. Passava il tempo in giro per la foresta a raccogliere piante e radici per le sue pozioni magiche e inventava delle storie che raccontava a voce alta. Agli animali del bosco, soprattutto ai ragni e agli scoiattoli, piaceva molto ascoltarla, così la seguivano (mantenendo la debita di distanza, perché la sicurezza non è mai troppa quando si tratta di streghe cattive) durante le sue passeggiate fino a che lei non la smetteva di raccontare. L’unico animale a non aver paura di lei era una rana parlante, che le saltellava sempre intorno e con la quale ogni tanto la strega intratteneva lunghi discorsi. Purtroppo però parlare con lei era difficile perché la rana aveva un grande difetto: non era capace di pronunciare i sostantivi e dei verbi conosceva soltanto l’imperativo – e immaginate la difficoltà di cercare di dialogare con qualcuno che risponde soltanto con imperativi, avverbi, preposizioni e aggettivi. Ma alla strega piaceva parlare ed era contenta che qualcuno la ascoltasse, così non si lagnava mai del problema della rana ed era contenta di raccontarle le sue storie.
Alla strega cattiva non piacevano: le principesse dal sorriso smagliante, i principi in calzamaglia, i dolci alla cannella e le voci di tenore.
Alla strega cattiva piacevano: le storie in cui alla fine vincevano i cattivi, gli orchi barbuti, i draghi sputafuoco e le canzoni che gli sciamani, di tanto in tanto, intonavano intorno al fuoco.
Da qualche tempo la strega cattiva era diventata ancora più cattiva perché si era innamorata di un orco che incontrava ogni notte nei pressi della fonte, ma non riusciva a dichiararsi. Quando la strega cattiva si innamorava, ormai lo sapeva, non riusciva a mangiare e questa fame insoddisfatta la rendeva ancora più irascibile e, appunto, più cattiva.
L’orco di cui la strega si era innamorata era un cantastorie – e proprio questo era ciò che lei amava di più. Ogni giorno lui stava seduto su una roccia vicino alla fonte e cantava le sue storie circondato da ninfe che intrecciavano per lui corone di fiori. Anche la strega cattiva ascoltava le sue storie, ma nascosta, rannicchiata ora dietro il tronco di un albero, ora dietro un cespuglio. Anche quella notte la strega cattiva stava seduta ad ascoltare la voce dell’orco cantastorie, con il cuore in subbuglio e le farfalle nello stomaco. Lo guardava con gli occhi degli innamorati e lo vedeva perfetto. “Non mi vorrà mai bene” disse sospirando alla rana parlante e lei le rispose “Spera!”.
Ma la strega non credeva nella speranza e, quando l’orco terminò di cantare la sua storia, quatta quatta si allontanò. Non si accorse che lo sguardo dell’orco la stava cercando, non sapeva che, ogni notte, lui non faceva che aspettarla mentre cantava le sue storie. Non sapeva (ancora) che anche l’orco l’amava e, da qualche tempo, tutti i suoi pensieri erano rivolti soltanto a lei…    

venerdì 5 gennaio 2018

Callimachus said...


"Farewell, O Sun, said Cleombrotus of Ambracia and leapt from a lofty wall into Hades. No evil had he seen worthy of death, but he had read one writing of Plato’s, On the Soul".

The danger of reading Plato.