mercoledì 22 novembre 2017

Il sosia



Si dice che per ognuno di noi ci siano sette sosia sparsi per il mondo. Già i greci ci insegnano a non prestare fede a quello che “si dice” (λέγεταί δή), ma con quello che “si dice” anche i filosofi hanno creato miti e immagini, per gioco o per alludere a questioni più complesse. Non sono saggia, io, così con quello che si dice mi permetto solo di giocare.
Questa storia dei sette sosia, che è proprio una sciocchezza, mi è venuta in mente qualche mese fa quando, sulla strada dietro alla stazione della cittadina svizzera in cui ho studiato e vissuto, ho incontrato il sosia del mio ex.
Era già buio, ero appena uscita dall’università e stavo andando al supermercato della stazione perché tutti gli altri lì chiudevano già alle 18 (tasto dolente del mio soggiorno in svizzera) – quando ho visto delinearsi di fronte a me una figura molto familiare. Stessa età, stesso colore dei capelli, stessa corporatura e…stessa faccia. Per un attimo ho pensato davvero che fosse lui e mi è preso quasi un colpo: che cosa ci faceva lì? Sebbene l’università sia grande, la città è piccola come un paese e, per quanto carina, non ci sono attrazioni che stimolino il turismo internazionale: soltanto distese verdi e mucche, tantissime mucche. La sagoma si avvicinava e, sempre mezza convinta che fosse lui, mi domandavo che cosa gli fosse capitato: era vestito come un simil-punk-fricchettone, qualche ciocca di capelli rasta, un enorme zaino da vagabondo sulle spalle e cinque o sei sacchetti e sportine di plastica in mano. Solo quando era a pochi passi da me mi ho capito che non era lui, nonostante l’impressionante somiglianza. Devo avere avuto una strana espressione dipinta in volto perché lui, guardandomi, ha sorriso divertito. Quell’incontro è stato però molto fugace e mi sono detta che in fin dei conti la somiglianza non forse era così eclatante: c’era buio ed era probabile che mi fossi sbagliata.
L’altro ieri però sono tornata in Svizzera. Un po’ assonnata e un po’ persa nei miei pensieri mi preparavo a scendere dal treno, dopo un viaggio lunghino, cercando l’energia per mettermi al lavoro. Ero così sulle scalette, in procinto di abbandonare il vagone, e chi ho visto tra i passeggeri che, a pochi centimetri da me, aspettavano che si sgombrasse l’ingresso per salire? Il sosia. Questa volta era mattina, c’era il sole e non potevo sbagliarmi: era proprio uguale uguale. Adesso aveva tagliato via i rasta e aveva i capelli rasati da una parte, mettendo in mostra un paio di orecchini e un dilatatore per orecchie. Non ho resistito e, guardandolo, sono scoppiata a ridere. Sarò sembrata matta. Ha riso anche lui. Questo mi ha dato la conferma che si trattava di un’altra persona: l’originale sarebbe lungi dal volere condividere con me un sorriso. Ma tant’è. Il sosia mi ha dato l’impressione di aver fatto pace con una parte del mio passato.

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