Si dice che per
ognuno di noi ci siano sette sosia sparsi per il mondo. Già i greci ci
insegnano a non prestare fede a quello che “si dice” (λέγεταί
δή), ma con quello che “si dice” anche i filosofi hanno creato miti e immagini,
per gioco o per alludere a questioni più complesse. Non sono saggia, io, così
con quello che si dice mi permetto solo di giocare.
Questa storia dei sette sosia, che è
proprio una sciocchezza, mi è venuta in mente qualche mese fa quando, sulla
strada dietro alla stazione della cittadina svizzera in cui ho studiato e
vissuto, ho incontrato il sosia del mio ex.
Era già buio, ero appena uscita
dall’università e stavo andando al supermercato della stazione perché tutti gli
altri lì chiudevano già alle 18 (tasto dolente del mio soggiorno in svizzera) –
quando ho visto delinearsi di fronte a me una figura molto familiare. Stessa
età, stesso colore dei capelli, stessa corporatura e…stessa faccia. Per un
attimo ho pensato davvero che fosse lui e mi è preso quasi un colpo: che cosa
ci faceva lì? Sebbene l’università sia grande, la città è piccola come un paese
e, per quanto carina, non ci sono attrazioni che stimolino il turismo
internazionale: soltanto distese verdi e mucche, tantissime mucche. La sagoma
si avvicinava e, sempre mezza convinta che fosse lui, mi domandavo che cosa gli
fosse capitato: era vestito come un simil-punk-fricchettone, qualche ciocca di
capelli rasta, un enorme zaino da vagabondo sulle spalle e cinque o sei
sacchetti e sportine di plastica in mano. Solo quando era a pochi passi da me
mi ho capito che non era lui, nonostante l’impressionante somiglianza. Devo
avere avuto una strana espressione dipinta in volto perché lui, guardandomi, ha
sorriso divertito. Quell’incontro è stato però molto fugace e mi sono detta che
in fin dei conti la somiglianza non forse era così eclatante: c’era buio ed era
probabile che mi fossi sbagliata.
L’altro ieri però sono tornata in
Svizzera. Un po’ assonnata e un po’ persa nei miei pensieri mi preparavo a
scendere dal treno, dopo un viaggio lunghino, cercando l’energia per mettermi
al lavoro. Ero così sulle scalette, in procinto di abbandonare il vagone, e chi
ho visto tra i passeggeri che, a pochi centimetri da me, aspettavano che si
sgombrasse l’ingresso per salire? Il sosia. Questa volta era mattina, c’era il
sole e non potevo sbagliarmi: era proprio uguale uguale. Adesso aveva tagliato
via i rasta e aveva i capelli rasati da una parte, mettendo in mostra un paio
di orecchini e un dilatatore per orecchie. Non ho resistito e, guardandolo,
sono scoppiata a ridere. Sarò sembrata matta. Ha riso anche lui. Questo mi ha
dato la conferma che si trattava di un’altra persona: l’originale sarebbe lungi
dal volere condividere con me un sorriso. Ma tant’è. Il sosia mi ha dato l’impressione
di aver fatto pace con una parte del mio passato.
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