Il supermercato
più vicino a dove al momento abito in Germania fa parte di una grande catena
tedesca chiamata Norma. Si tratta di un discount di qualità, a mio avviso, un
pelino sotto l’Aldi (dove invece compro sempre delle mini-mozzarelle di bufala
che trovo buonissime!), dove la merce è accatastata (e il termine “accatastato”
non è scelto a caso) non soltanto sugli scaffali a destra e a sinistra dei
corridoi, ma anche in scatoloni posti in mezzo. Spesso vado lì in parte per
pigrizia, se non ho voglia di spingermi fino alla prossima Edeka o al Rewe, e
in parte perché i cassieri e le cassiere lì sono molto simpatici: mi
(ri)conoscono (cosa tutt’altro che ovvia nei supermercati d’oltralpe) e
scambiano volentieri quattro chiacchiere tra un cartone di latte, un “no,
grazie, non mi serve il sacchetto”, e il resto. Il motivo principale che mi
spinge a frequentare questo discount però è di natura antropologica. In questo
posto si possono incontrare infatti nature più disparate, eccentriche e fuori
dall’ordinario. Il nome del supermercato, scritto a caratteri cubitali
all’ingresso in perfetto stile anni 60 (quando questa catena è stata fondata –
e immagino che il logo, da allora, non sia stato mai più rinnovato), mi fa
pensare a un (relativamente) vecchio spot di un canale radio italiano. Il
jingle faceva: RTL. Very normal people,
mostrando persone comuni intente a compiere azioni comuni. Normal(i) non sono
invece gli abituali frequentatori di “Norma”. Ho incontrato: un uomo che girava
per gli scaffali riparandosi da immaginaria pioggia (o grandine, chi lo sa?)
sotto un ombrello aperto, un signore vestito da cowboy, una vecchietta che,
indecisa su quale prodotto acquistare, intraprendeva lunghe conversazioni con
se stessa, un tipo dall’aspetto pericoloso che aveva riempito il carrello di
birra analcolica perché, diceva, essere astemio, una signora tutta pelle e ossa
che, curva su se stessa, faceva una specie di danza sul posto all’ingresso
(quando, all’uscita, mi sono accorta che era ancora lì, le ho chiesto cautamente
se andasse tutto bene. Lei mi ha guardata un po’ seccata (del resto l’avevo
interrotta), mi ha risposto di sì e poi, come se nulla fosse, ha continuato a
ballare). Oggi però durante la mia spedizione da Norma per procacciarmi del
cibo mi è capitata per la prima volta una cosa veramente normal, così tanto normal
da essere un cliché. Mentre, carica
di barattoli di yogurt, bastoncini di pesce surgelato (caduta di stile, lo so e
chiedo venia), frutta e insalata, mi dirigo verso la cassa, mi accorgo che un
tipo mi sta guardando. Un ragazzone alto e grosso, carico di barattoli di
yogurt e di banane (osservare quello che compra la gente, peraltro, è sempre
molto interessante e rivela delle persone più di quanto esse stesse non
dicano). Colgo il suo interesse, ma lo ignoro e continuo a camminare. Allora
lui mi fa: “Scusa, ma tu studi all’università? Ci siamo già visti da qualche
parte?”. Classica frase di abbordaggio, in un classico luogo di abbordaggio: un
supermercato, tra il reparto della frutta e quello del latte. Più normal di così? Mi chiede se sto andando
alla cassa e io gli rispondo che devo ancora prendere qualcosa (nella speranza
di risparmiarmi/gli situazioni imbarazzanti), ma lui mi segue imperterrito e
inizia a raccontarmi di sé, dei suoi esami, degli sport che fa. Così,
rassegnata, mentre ci mettiamo in fila per pagare, ascolto le sue storie. La
gente, in fondo, mi incuriosisce e trovo (quasi) sempre divertenti (e talvolta
sorprendenti) le conversazioni intavolate nei luoghi più inaspettati con
perfetti sconosciuti. Ho una regola però: ogni incontro iniziato in questi luoghi
di passaggio deve finire una volta abbandonato il limbo. Mi affaccio nel suo
mondo, allora, per tutto il tempo della fila e anche per un pezzo di strada
verso la biblioteca, dove le nostre strade si separano quando io imbocco la via
di casa. Lui è un po’ deluso e io sparisco senza lasciare traccia. Cara Norma,
da te ogni spesa diventa sempre un’avventura.
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