È tempo di
lasciare Siviglia. A malincuore rimetto nello zaino i libri, la mia (non sempre
affidabile) guida crucca dell’Andalusia, le cartoline, un paio di regalini, i
miei pochi indumenti e guardo per l’ultima volta la camera che per qualche
giorno ho chiamato “casa”, suscitando l’ilarità e talvolta la simpatia dei miei
interlocutori. Dopo aver accertato (a quanto pare anche la fisiognomica lo
conferma) e accettato la mia condizione di straniera ovunque, mi sono arrogata
il diritto di sentirmi a casa dappertutto, chiamando casa tutti i luoghi in cui mi sono insediata, in cui mi sono
sentita bene. E a Siviglia mi sono sentita a casa.
Per una nomade,
però, nessuna casa è definitiva, così raccolgo zaino e ricordi e mi dirigo alla
stazione del bus. Prossima tappa: Cordoba.
Prendo posto sull’autobus spazioso. L’autista, dopo aver controllato i biglietti, accoglie
ogni passeggero porgendogli un sacchetto di carta contenente: uno snack, una
bottiglietta d’acqua e un paio di auricolari. Il lusso. Non mi era mai capitato
di vedere un bus così chic: comodo e
lindo, sedili in pelle reclinabili con poggiapiedi regolabile, piccolo schermo davanti
a ogni sedile per guardare un film o ascoltare della musica – altro che gli
autobus della compagnia verde risparmio che prendevo abitualmente per andare in
Svizzera (con il wc rotto e puzzolente e i sedili squinternati)!
Rinuncio tuttavia
a una fetta di questo lusso decidendo di ignorare lo schermo, indosso le
cuffiette del mio inseparabile lettore mp3 e mi accomiato da Siviglia
ascoltando ancora una volta Il Barbiere,
che è la colonna sonora di questo mio viaggio.
Il paesaggio che
scorre davanti ai miei occhi non è dissimile da quello che vedo dall’autobus
che, in Sicilia, dall’aeroporto di Palermo mi porta alla stazione del mio
paese, tanto che per un attimo, in uno stato di sonnolenza, mi sembra di vedere
il profilo delle sue stranote case. Trasalisco. Poi mi ricordo di essere in
Spagna e mi lascio cullare dal rumore del motore.
Guardando la
cartina dell’Andalusia non mi ero resa conto di quanto fossero grandi le
distanze tra una città e un’altra. O meglio: non potevo rendermi conto di quanto
sembrassero grandi tali distanze, dal
momento che sulla cartina non si vede che tra un centro abitato e l’altro non
c’è niente – all’infuori di distese a perdita d’occhio di terra bruna e di campi
bruciati dal sole. Dopo qualche ora di viaggio e qualche quarto d’ora di sonno
faccio finalmente la conoscenza di Cordoba, la città dei Califfi, di Averroè e
di Maimonide. Ad accogliermi ci sono 40 gradi e un sole che, nonostante siano
appena le 10.30 del mattino, picchia e brucia e intimorisce i turisti più biondi
che iniziano a ungersi di creme solari dall’odore pungente.
Dopo una piccola
sosta in un bar, nel quale faccio colazione con pane e pomodoro e un zumo de naranja por favor, mi dirigo alla Mezquita, letteralmente il “luogo dove prostrarsi”, oggi nota come
Grande Moschea o Moschea-Cattedrale.
Non credo di
avere mai visto nulla di più impressionante. Entro in quella che, a prima
vista, mi sembra un’immensa moschea (al già imponente edificio originario, progettato
dall’emiro Abd al-Raḥmān I, sono stati aggiunti tre grandi ampliamenti
commissionati da ʿAbd al-Raḥmān II
prima e da al-Ḥakam II
dopo). Cammino tra arcate e colonne, per colore e forma tipiche
dell’architettura islamica. I cunei bianchi e rossi e la ripetizione ritmica dei
capitelli mi danno l’impressione che lo spazio si dilati all’infinito e che i
confini siano irraggiungibili.
Ma proprio quando
il mondo arabo mi ha rapita al mio e ho l’impressione di trovarmi non in Spagna
ma in un racconto delle Mille e una notte,
ecco che vedo una croce, un altare cattolico, una raffigurazione dell’ultima
cena, la statua di un santo, quella della Madonna. Disorienta continuo a
camminare fino a quando, improvvisamente, mi trovo sotto la cupola bianca e dorata
della Cattedrale barocca. Lo stupore.
L’incredulità.
Con questo video
vi mostrerò il percorso inverso, che vi porterà dalla Cattedrale fino
all’ampliamento di Al-Hakam II, con le sue arcate polilobate e il dorato Mihrab, punto di riferimento per la
preghiera dei musulmani: una nicchia a otto lati, delimitata da archi che
rappresentano le porte per l’aldilà, attraverso le quali dovevano ascendere le
preghiere dei fedeli, la quale termina in una cupola a conchiglia, simbolo
della vita.
Questa insolita
mescolanza di religioni e influenze, che oggi forse ci stupisce, sta invece
alla base della cultura andalusa, luogo in cui hanno convissuto – ora in pace,
ora in reciproca tolleranza, ora in guerra – religioni e culture diverse: si
tratta infatti di un Paese dominato dapprima dal Califfato arabo-islamico e
successivamente conquistato dall’estremo cattolicesimo europeo (non per niente
Cordoba era sede di uno dei tribunali speciali dell’Inquisizione).
Tale convivenza
di culture e religioni è testimoniata anche dalla presenza di un quartiere
ebraico, la Juderia, ovvero l’antico
ghetto abitato dagli ebrei fino a quando i Re Cattolici, nel XV secolo, li
espulsero dalla città. È più grande della Juderia
di Siviglia e in essa si trova anche una Sinagoga che dicono essere molto
bella – cosa che purtroppo non ho potuto verificare con i miei occhi perché in
estate tutti i principali siti di interesse a Cordoba (la Sinagoga, l’Alcázar e
Museo Taurino – che pure non mi interessava) chiudono alle tre del pomeriggio. Continuo
a passeggiare così perdendomi nelle stradine della Juderia, immaginando un tempo senza turisti in cui, in questi
vicoli, in mezzo a queste case imbiancate a calce, filosofi arabi e pensatori
ebrei hanno partorito e messo per iscritto le loro idee. Passo sognante attraverso la via dedicata ad Averroè.
Senza accorgermene arrivo infine in Plaza de Tiberiades
e mi imbatto in una figura familiare: si tratta della statua di Mosè Maimonide,
autore della Guida dei perplessi, che
avevo studiato durante il mio ultimo anno di università a Palermo e che mi
aveva tanto impressionata. E siccome perplessa lo sono tutt’ora – e forse ancora
più che in passato – tocco la punta della sua scarpa e intrattengo con lui una
conversazione silenziosa e confidenziale.
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