Il viaggio che mi
ha condotta in Spagna mi ha fatto attraversare non soltanto tre nazioni in tre
giorni, ma anche tre stagioni: ho lasciato un clima d’inizio inverno sulle
montagne dei Grigioni, sono passata attraverso un autunno piovigginoso milanese
per giungere alla bollente estate spagnola, con i suoi 38 gradi. Sotto il sole
ancora rovente del tramonto che tinge di arancione le facciate degli
edifici bianchi e l’odore di cavallo che invade le narici dei passanti e dei
turisti sulla piazza della Cattedrale di Siviglia inizia la mia avventura
andalusa.
La Spagna mi
sorprende subito per la sua organizzazione. Nel mio immaginario era un posto un
po’ caotico, non troppo dissimile dall’Italia. Credevo che, come nel mio paese
d’origine, i mezzi di trasporto fossero sempre in ritardo (sia a Palermo che in
alcune zone di Milano – soprattutto in estate – bisognava affidarsi a un
oracolo per sapere quando il bus sarebbe passato e ringraziare tutti i santi se il bus si decideva davvero a
passare), che le persone fossero pigre e le strade un po’ sporche. Come in Italia.
Quel mio lui, del resto, quando eravamo insieme, diceva sempre tutto il male
possibile degli spagnoli, dipingendoli come svogliati e ottusi. Io non ero mai
stata in Spagna e di spagnoli non ne conoscevo. Così, senza rendermene conto, avevo
lasciato che nella mia testa si corroborasse un cliché di cui, fino ad ora, non mi ero nemmeno curata troppo.
Svolta.
Già dal primo
giorno in Andalusia mi rendo conto che l’Italia è assai più indietro rispetto alla
Spagna – e che di simile hanno solo la lingua e quella disinvoltura dei modi
della gente tipica dei paesi mediterranei. Punto.
Tutti i bus in
orario, città molto organizzate (a misura di pedone e a prova di turista –
anche del più imbranato come me, che ho il senso dell’orientamento di un
lombrico ubriaco) e strade linde. Mi stupiscono gli impiegati sprint della
nettezza urbana che, dopo l’una di notte, scorrazzano per la città con i loro
camioncini, si fiondano (letteralmente!) sui bidoni dell’immondizia, li
ripuliscono procedendo a una velocità impressionante, mentre i loro colleghi
inondano le strade di acqua insaponata e le spazzano. Altro che pigrizia! 4 a 0
per la Spagna – e non solo nei Mondiali di calcio.
Il mio viaggio alla
scoperta dell’Andalusia inizia qui a Siviglia e mi porterà a Malaga passando
per Cordoba per giungere (finalmente!) all’Alhambra di Granada.
Per me Siviglia è
un sogno. È la città che ha ispirato grandi (e meno grandi, ma pur sempre
importanti) compositori, che l’hanno scelta come teatro delle loro opere. È la
città delle Nozze di Figaro di
Mozart, del Barbiere di Siviglia di
Rossini e della Carmen di Bizet,
criticato in maniera così sottilmente ironica da Nietzsche in Der Fall Wagner, ma a cui voglio bene,
trattandosi della prima opera che io abbia mai visto dal vivo e addirittura
alla Scala di Milano!
Mi entusiasmo quando
scopro che a due passi dal posto che per pochi giorni chiamerò “casa” c’è il
balcone di Rosina del Barbiere.
Il
balcone sotto cui Lindoro (pseudonimo usato dal Conte di Almaviva) le aveva cantato una serenata, aveva pregato Figaro
di aiutarlo ad escogitare degli stratagemmi per potersi intrufolare in casa del
dottor Bartolo e rivelare a Rosina i suoi sentimenti, nella speranza di essere
ricambiato e andare via con lei come marito e moglie.
Torno lì una
sera, prima di ritirarmi nella mia stanzetta, mi siedo sugli scalini di pietra
ancora caldi del sole del giorno, nonostante sia già buio, metto gli auricolari
del mio lettore mp3 e mentre ascolto l'aria di Lindoro Se il mio nome saper voi bramate inizio a
fantasticare.
Il giorno
seguente decido di andare alla ricerca del vero
barbiere di Siviglia – o per meglio dire di un barbiere vero a
Siviglia e lo stano in un salone di Calle
Sierpes. Con un po’ di imbarazzo gli chiedo, nel mio spagnolo traballante,
di lasciarsi fotografare e gli spiego perché. Lui è divertito e mi lascia fare.
Scambiamo ancora qualche parola e lo prego di non svelarmi il suo vero nome: per me resterà
così Figaro, il barbiere di Siviglia.
Nella Juderia trovo il posto in cui Carmen scappa inseguita dai soldati e poco più avanti la strada nella quale si trovava la taverna in cui incontra Don José ed Escamillo.
Mi imbatto in
luoghi dell’opera persino quando sto cercando qualcos’altro. Quando, nonostante
le tante indicazioni stradali, mi perdo per le strade della città finendo dalla
parte opposta del posto che volevo raggiungere (l’ho detto: lombrico ubriaco),
vedo un palazzo imponente e bellissimo e mi chiedo che cosa possa essere. Ipotizzo che si tratti non meno di un palazzo reale.
Mi avvicino, allora, sperando che un qualche cartello informativo mi sveli l’arcano. L’organizzata Spagna anche stavolta non mi delude e di nuovo mi stupisce: è un’ex fabbrica di tabacco – quella stessa fabbrica in cui è ambientata la Carmen – oggi sede della facoltà di Lettere e Filosofia dell'università di Siviglia.
Mi avvicino, allora, sperando che un qualche cartello informativo mi sveli l’arcano. L’organizzata Spagna anche stavolta non mi delude e di nuovo mi stupisce: è un’ex fabbrica di tabacco – quella stessa fabbrica in cui è ambientata la Carmen – oggi sede della facoltà di Lettere e Filosofia dell'università di Siviglia.
Insomma, pur non
essendo andata all’Opera, qui l’Opera la vivo davvero.
L’avventura
però è appena cominciata: da domani mi metterò sulle tracce dei filosofi arabi
e dei sultani delle mille e una notte, alla scoperta dei luoghi che hanno visto
convivere – in pace e in guerra – tre culture e religioni. Dall’Alcázar di
Siviglia all’Alhambra di Granada.
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