L'importanza di avere un titolo
Ci sono almeno
due modi per diventare nobile (anche se probabilmente ce ne saranno anche un
terzo e un quarto a me ignoti): per nascita o per matrimonio. Un ex compagno di
scuola di lui ha optato per il secondo e da comune mortale è diventato barone.
Incuriosita fin
dall’arrivo dell’invito, ho potuto finalmente prendere parte all’aristocratico
evento. Onestamente me lo immaginavo diverso. Adesso posso rassicurare le mie
amiche e conoscenti siciliane che sono convolate a nozze con matrimonio
principesco (“normale” per le usanze e le tradizioni della mia terra), che
hanno sicuramente raggiunto lo scopo: il loro ricevimenti di nozze non avevano
assolutamente nulla da invidiare ai matrimoni dei nobili veri.
Nel biglietto
d’invito, o per meglio dire nei biglietti, era indicato un dresscode: era richiesto (in particolar modo agli uomini) un outfit diverso per ogni occasione, in
ordine crescente di eleganza – dalla festa di benvenuto (sommerlich-festlich) alla cena di nozze, per la quale ogni invitato poteva
scegliere “liberamente” se indossare uno smoking o un cutaway (della cui esistenza, fino a quel momento, ero allo scuro).
Per le donne era più complicato perché non era consigliato esplicitamente un
determinato tipo di abito: naturalmente era sottinteso e le aristocratiche dame
avrebbero saputo di certo che cosa indossare per rispettare l’etichetta. Durante
la cerimonia in chiesa (alla quale ho preso parte in piccionaia, avendo così la
possibilità di osservare la nobiltà dall’alto) ho fatto la mia prima scoperta:
se volete essere nobildonne, o almeno essere scambiate per tali, in queste
occasioni dovete indossare un cappello. Ovviamente non un cappello qualunque,
ma uno esagerato: grande, appariscente, magari rosa o in tinte sgargianti, con
su un fiocco o un qualche ornamento piumato, in stile Queen Elizabeth. In mancanza di cappello potrete ricorrere a un
cerchietto con un enorme fiore o un’intera composizione floreale. Anche la
veletta fa molto aristocrazia. Ach,
se l’avessi saputo prima avrei potuto mimetizzarmi tra i ranghi alti della
società sfoggiando un sobrio cappellino, invece con i miei capelli sciolti e
privi di ornamenti rivelavo fin troppo manifestamente la mia appartenenza alla
plebe.
Mentre le aristocratiche,
dunque, si potevano riconoscere dal copricapo, gli uomini nobili si
distinguevano dai non-nobili dal vestito. I non titolati, pur avendo tirato
fuori dall’armadio il loro vestito migliore (o avendone addirittura comprato
uno per l’occasione) non raggiungevano l’eleganza di conti e baroni che passeggiavano
nel giardino del palazzetto abbigliati come dei direttori d’orchestra – o dei
simpatici pinguini.
Visto che le
differenze tra l’aristocrazia e la plebe erano così evidenti già dal vestiario,
sul momento ho supposto che non ci sarebbe stata comunicazione tra i due mondi:
pensavo che pinguini e cappellini avrebbero parlato con pinguini e cappellini
della stessa specie, mentre il resto della fauna matrimoniale si sarebbe dovuta
intrattenere da sé. Durante il rinfresco ho, invece, scoperto con mia grande
sorpresa che la linea di demarcazione che ci separava non era così netta e che se
avessi voluto avrei potuto diventare nobile anch’io. Ohibò! Sarebbe bastato
sposare uno di quei (per lo più) vecchi simil-direttori di orchestra che sono
venuti a fare conversazione con me, lusingandomi con complimenti per i miei
capelli e per il mio tedesco, incantati dalle mie origini esotiche. Conversazioni
più o meno imbarazzanti durante le quali ho però scoperto una cosa: ai nobili
piacciono i titoli. In effetti avrei potuto arrivarci anche da sola. Per l’aristocrazia
è importante assegnarti un titolo: se non ne hai uno nobiliare, va bene anche
un titolo di studio. Infatti anche nei segnaposto personali sulla tavola della
cena non c’era scritto solo il tuo nome e cognome: se avevi fatto il dottorato
sul tuo cartellino c’era scritto Dr.
Seppurpovero Almenocolto. Questa cosa mi divertiva, mi sembrava di essere a una
conferenza. Peccato non avere ancora discusso la tesi, altrimenti avrei goduto
anch’io di un tale privilegio!
In fin dei conti
questa nuova nobiltà non mi è poi sembrata così diversa da quella descritta da
Goldoni ne La Locandiera. Il Marchese
di Forlipopoli, aristocratico decaduto e ormai impoverito, cerca di conquistare
Mirandolina, proprietaria della locanda, esibendole la sua protezione – alla
quale attribuisce inestimabile valore. Il Conte d’Albafiorita, ex borghese
arricchito, che ha comprato il suo
titolo nobiliare, cerca di aggiudicarsi l’amore della locandiera a suon di
danari offrendole preziosi gioielli e laute mance. Personaggi creati e messi in
scena per suscitare il riso, caricature della società.
Tanto alla fine,
in barba alla nobiltà, Mirandolina decide di sposare il cameriere Fabrizio –
scelta discutibile, ma almeno onesta.
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