giovedì 13 luglio 2017

Come diventare nobile (2° parte)


 L'importanza di avere un titolo

 
Ci sono almeno due modi per diventare nobile (anche se probabilmente ce ne saranno anche un terzo e un quarto a me ignoti): per nascita o per matrimonio. Un ex compagno di scuola di lui ha optato per il secondo e da comune mortale è diventato barone.
Incuriosita fin dall’arrivo dell’invito, ho potuto finalmente prendere parte all’aristocratico evento. Onestamente me lo immaginavo diverso. Adesso posso rassicurare le mie amiche e conoscenti siciliane che sono convolate a nozze con matrimonio principesco (“normale” per le usanze e le tradizioni della mia terra), che hanno sicuramente raggiunto lo scopo: il loro ricevimenti di nozze non avevano assolutamente nulla da invidiare ai matrimoni dei nobili veri.
Nel biglietto d’invito, o per meglio dire nei biglietti, era indicato un dresscode: era richiesto (in particolar modo agli uomini) un outfit diverso per ogni occasione, in ordine crescente di eleganza – dalla festa di benvenuto (sommerlich-festlich) alla cena di nozze, per la quale ogni invitato poteva scegliere “liberamente” se indossare uno smoking o un cutaway (della cui esistenza, fino a quel momento, ero allo scuro). Per le donne era più complicato perché non era consigliato esplicitamente un determinato tipo di abito: naturalmente era sottinteso e le aristocratiche dame avrebbero saputo di certo che cosa indossare per rispettare l’etichetta. Durante la cerimonia in chiesa (alla quale ho preso parte in piccionaia, avendo così la possibilità di osservare la nobiltà dall’alto) ho fatto la mia prima scoperta: se volete essere nobildonne, o almeno essere scambiate per tali, in queste occasioni dovete indossare un cappello. Ovviamente non un cappello qualunque, ma uno esagerato: grande, appariscente, magari rosa o in tinte sgargianti, con su un fiocco o un qualche ornamento piumato, in stile Queen Elizabeth. In mancanza di cappello potrete ricorrere a un cerchietto con un enorme fiore o un’intera composizione floreale. Anche la veletta fa molto aristocrazia. Ach, se l’avessi saputo prima avrei potuto mimetizzarmi tra i ranghi alti della società sfoggiando un sobrio cappellino, invece con i miei capelli sciolti e privi di ornamenti rivelavo fin troppo manifestamente la mia appartenenza alla plebe.
Mentre le aristocratiche, dunque, si potevano riconoscere dal copricapo, gli uomini nobili si distinguevano dai non-nobili dal vestito. I non titolati, pur avendo tirato fuori dall’armadio il loro vestito migliore (o avendone addirittura comprato uno per l’occasione) non raggiungevano l’eleganza di conti e baroni che passeggiavano nel giardino del palazzetto abbigliati come dei direttori d’orchestra – o dei simpatici pinguini.
Visto che le differenze tra l’aristocrazia e la plebe erano così evidenti già dal vestiario, sul momento ho supposto che non ci sarebbe stata comunicazione tra i due mondi: pensavo che pinguini e cappellini avrebbero parlato con pinguini e cappellini della stessa specie, mentre il resto della fauna matrimoniale si sarebbe dovuta intrattenere da sé. Durante il rinfresco ho, invece, scoperto con mia grande sorpresa che la linea di demarcazione che ci separava non era così netta e che se avessi voluto avrei potuto diventare nobile anch’io. Ohibò! Sarebbe bastato sposare uno di quei (per lo più) vecchi simil-direttori di orchestra che sono venuti a fare conversazione con me, lusingandomi con complimenti per i miei capelli e per il mio tedesco, incantati dalle mie origini esotiche. Conversazioni più o meno imbarazzanti durante le quali ho però scoperto una cosa: ai nobili piacciono i titoli. In effetti avrei potuto arrivarci anche da sola. Per l’aristocrazia è importante assegnarti un titolo: se non ne hai uno nobiliare, va bene anche un titolo di studio. Infatti anche nei segnaposto personali sulla tavola della cena non c’era scritto solo il tuo nome e cognome: se avevi fatto il dottorato sul tuo cartellino c’era scritto Dr. Seppurpovero Almenocolto. Questa cosa mi divertiva, mi sembrava di essere a una conferenza. Peccato non avere ancora discusso la tesi, altrimenti avrei goduto anch’io di un tale privilegio!
In fin dei conti questa nuova nobiltà non mi è poi sembrata così diversa da quella descritta da Goldoni ne La Locandiera. Il Marchese di Forlipopoli, aristocratico decaduto e ormai impoverito, cerca di conquistare Mirandolina, proprietaria della locanda, esibendole la sua protezione – alla quale attribuisce inestimabile valore. Il Conte d’Albafiorita, ex borghese arricchito, che ha comprato il suo titolo nobiliare, cerca di aggiudicarsi l’amore della locandiera a suon di danari offrendole preziosi gioielli e laute mance. Personaggi creati e messi in scena per suscitare il riso, caricature della società.


 Tanto alla fine, in barba alla nobiltà, Mirandolina decide di sposare il cameriere Fabrizio – scelta discutibile, ma almeno onesta.

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