Un gioco re(g)ale
In questo non
peccherò di originalità, ma il mio sogno da bambina era quello di essere una
principessa. Non per i bei vestiti o per il castello, né tantomeno per essere
sposata da un principe: i principi delle fiabe mi sembravano figure piatte e
insignificanti, palloni gonfiati pieni di sé che combattevano draghi e
affrontavano maghi cattivi per salvare principesse di cui si dichiaravano
innamorati persi, dopo averci parlato sì e no una volta o averne visto soltanto
il ritratto. Deludenti. Come Tamino nel Flauto
magico di Mozart, che si cimenta in pericolose imprese per salvare l’amata
(?) Pamina, vista solo in quadro. Come quando oggi qualcuno si dice innamorato
di una ragazza dopo averne visto solo la foto su Facebook. Quando sento una storia
del genere non posso fare a meno di pensare a quest’aria di Tamino.
Dies Bildnis ist bezaubernd schön, ok. E come la mettiamo se poi puzza o
non sa fare 2+2? Ma sì, chi se ne importa! Affrontiamo pure l’astuto serpente (die listige Schlange) senza avere né i
mezzi né le capacità di farlo, in nome di una femminea bellezza (che poi, sia i
dipinti che le foto su sui social
possono anche essere mendaci e non corrispondere esattamente al soggetto
ritratto), tanto alla fine il lavoro sporco lo faranno le tre dame (Triumph! Triumph!).
Il principe
azzurro quindi non mi interessava, così come non mi fidavo dei tenori. Sognavo
di essere una principessa per sfuggire alla monotonia e alla noia della vita di
paese. Mi divertivo così a riscrivere le mie giornate su diari, reinventando
gli eventi di poca importanza che si susseguivano nella mia quotidianità
attraverso un gioco che avevo ideato. Il gioco consisteva più o meno in questo:
come una piccola Harry Potter ante
litteram (perché allora il maghetto occhialuto non era ancora stato
inventato, o comunque non aveva ancora fatto la sua comparsa nelle edicole/librerie
dell’entroterra siciliano) avevo ricevuto una lettera in cui mi venivano
rivelate le mie nobili origini, che dovevano tuttavia restare segrete perché un
parente cattivo mi stava cercando per farmi fuori, in modo da poter ereditare
la corona al posto mio. Dovevo così dimostrare (a misteriosi osservatori) di
essere all’altezza del mio rango e del mio destino, affrontando prove di
coraggio e di resistenza, mostrare di avere un portamento elegante, di essere
intelligente e colta (e lì a mandare giù a memoria poesie – che tutt’oggi non
ho dimenticato – e brani del libro di storia), magnanima, ma anche intransigente
di fronte a ingiustizie e infrazioni. Al contempo dovevo stare attenta a non
essere scoperta da quel parente cattivo cattivo e ideavo tecniche di difesa. Se
dei vecchietti per strada si toglievano il cappello (la coppola) per salutarmi
(ma credo, piuttosto, per salutare mia madre accanto a me), per me erano delle
guardie in incognito che mi avevano riconosciuta a mi davano segno della loro
devozione. Se a scuola il maestro scriveva “ottimo” sul mio compito, per me non
era solo riferito all’esercizio, ma si trattava di un messaggio cifrato per
comunicarmi che tutto stava andando secondo i piani. La bicicletta era il mio
destriero e mettevo alla prova le mie forze inerpicandomi in salite molto
ripide, per essere pronta nel caso in cui il mio parente cattivo o uno dei suoi
uomini fossero venuti a cercarmi.
Sono figlia
unica, nel mio paese non c’era una biblioteca né tantomeno una libreria e
internet non sapevo neppure cosa fosse, così mi arrangiavo a passare il tempo e
a rendere più interessante la mia vita da bambina. Non so quando io abbia
smesso di giocare a questo gioco – forse solo alla fine della scuola
elementare? Con l’inizio della scuola media ho perso ogni interesse per la
nobiltà e ho creato altri mondi per sfuggire alla noia del mio.
Erano passati almeno
tre lustri e mezzo dall’ultima volta che la mia fantasia aveva galoppato tra i
sentieri dell’aristocrazia, quando, un paio di mesi fa, arriva a casa una
lettera: l’invito al matrimonio di un ex compagno di scuola di lui e una
giovane baronessa tedesca. Vecchi ricordi di giochi sognati riemergono da zone
polverose della mia memoria. Come saranno i nobili veri? L’invito è molto
formale: il barone e la baronessa von
Taldeitali annunciano il matrimonio della loro figlia con Johannes Plebe.
Dentro la busta ci sono quattro biglietti: con uno veniamo invitati alla festa
di benvenuto che avrà luogo il giorno prima, con l’altro alla cerimonia in
chiesa, con il terzo al rinfresco dopo la cerimonia e con l’ultimo alla grande
festa la sera delle nozze. C’è infine un biglietto su cui dobbiamo indicare
(mettendo una crocetta sull’apposito quadratino) a quale degli eventi
prenderemo parte e rispedirlo al mittente. Sembra un quiz a risposta multipla,
come la terza prova degli esami di maturità, oppure una scheda elettorale. Tant’è.
Metto la croce su tutte e quattro le caselle (questo non potevo farlo agli
esami di maturità) e imbuco la busta. Adesso sono curiosa: come sarà la nuova
nobiltà?
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