sabato 29 luglio 2017

Ritorno all'origine


Tre cose mi fanno capire che sono arrivata in Sicilia:


La prima è l’applauso dei passeggeri per il pilota dell’aereo dopo l’atterraggio. Se volate verso qualsiasi meta europea che non si collochi nel più profondo meridione italiano, quando l’aereo atterra non noterete nessun cambiamento significativo nelle espressioni dei volti che vi circondano. Forse sorrideranno, chi viaggia in coppia scambierà qualche parola con il compagno o la compagna, quando il segnale luminoso si sarà spento slacceranno le cinture di sicurezza e compostamente, dopo aver prelavato il bagaglio, si dirigeranno verso l’uscita. Se, invece, la meta del vostro viaggio è la Sicilia, ve ne accorgerete subito. Già quando la voce dell’hostess annuncia che tra pochi minuti avranno inizio le manovre di atterraggio la tensione sull’aereo sale. Facce eccitate guardano fuori dal finestrino per vedere la Sicilia diventare sempre più vicina, fino a poter distinguere (e forse riconoscere) le strade, le case. Quando finalmente l’aereo tocca il suolo scroscia un fragoroso applauso. I bambini giubilano, le vecchiette tirano un sospiro di sollievo, tutti ridono e iniziano a parlare forte. Prima ancora che il segnale luminoso si sia spento slacciano le cinture, si alzano, cercando di recuperare il bagaglio tra il marasma generale, accendono i telefoni e iniziano a gridare dentro gli apparecchi a genitori, ziii, cugini, amici: “Arrivavu ora!”, “Unni si?”, “Unni ni vidiemmu?”. Una volta, seduta accanto a me c’era una coppia dall’accento del nord, credo lombardo, e, parlottando tra di loro, avevano commentato questo spettacolo dicendo: “Sembra che questi [scil. terroni] non abbiano mai visto un aereo atterrare. Che bisogno c’è di applaudire? Il pilota fa solo il suo lavoro!”. Da personcina razionale e un po’ snob quale sono, o credo di essere, non applaudo nemmeno io l’impresa ben riuscita del pilota e, in linea di principio, sono anche d’accordo con la coppia lombarda: a sentire l’entusiasmo generale sembra che i passeggeri si sorprendano che il pilota sia riuscito a portare a termine con successo le manovre di atterraggio. Tuttavia, anche se non mi unisco attivamente a queste acclamazioni, una parte di me le aspetta e sarebbe delusa se non fosse così. La Sicilia non è solo una regione, ma un modo d’essere, e l’applauso dopo l’atterraggio mi comunica definitivamente che sono arrivata “a casa”.  

La seconda cosa che mi fa capire di essere arrivata in Sicilia è guardare il mondo dall’alto in giù: dopo l’atterraggio, infatti, se mi guardo intorno, all’altezza del mio sguardo, vedo facce e non toraci, busti e (nel peggiore dei casi) pance. Mentre in Germania, con il mio metro e sessanta, faccio parte della minoranza bassa della popolazione e devo far fronte anche alle difficoltà che comporta il vivere in un posto in cui tutto (architettura, arredamenti, abbigliamento…) è fatto su misura per persone decisamente più alte di me (a casa mia, per esempio, lo specchio del bagno è troppo in alto e devo ricorrere a sgabellini e altri stratagemmi per truccarmi o semplicemente guardarmi in faccia), qui in Sicilia la mia è un’altezza media e non di rado mi capita di parlare con donne – ma anche uomini – più bassi di me. Sentirmi alta – è questa la prima impressione che ho ogni volta che faccio ritorno nella mia terra.  

La terza cosa non è un’osservazione, ma una sensazione che non so bene spiegare. Lo ammetto, quando l’hostess annuncia che l’aereo sta per atterrare anche io sono tra quelli che incollano il naso al finestrino per guardare l’isola diventare sempre più vicina. Guardo l’ombra dell’aereo che saetta sui campi gialli, bruciati dal sole rovente dell’estate e il mio cuore ha un sussulto. Una forza di attrazione irresistibile mi tira verso il posto che pure ho lasciato e in cui non vivrei. Mi tira come una corda che diventa tanto più tesa quanto più cerco di ribellarmi. Mi tira verso il posto che ho odiato, che mi stava stretto, che mi soffocava. Mi tira nel posto da cui sono scappata. Mi tira nel luogo delle mille giustificazioni e delle poche scuse. È il richiamo della terra, la voce minacciosa e rassicurante del mare che dall’aereo non posso sentire, ma che mi parla direttamente al cuore se solo guardo dall’alto il movimento delle onde. Si riscalda qualcosa dentro di me, brucia ancora quella fiamma, non si è spenta. Per quanto io possa andare lontano, per quanto io possa scappare, questa è la mia terra, questa terra sono io: è parte di me come io di lei. E questo non cambierà mai. 

 

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