lunedì 3 luglio 2017

La consegna della tesi: una tragicommedia in tre atti



State scrivendo la vostra tesi di dottorato in Germania e vi sembra di vedere la fine? Vi sentite ormai vicini al traguardo? Dovrò deludervi allora e mettervi in guardia: prima di ottenere l’agognato titolo di “dottore” dovrete fare i conti con la burocrazia tedesca. Se avrete fortuna, una segretaria gentile e disponibile risponderà alle vostre domande e chiarirà i vostri dubbi. Se, invece, avete deciso di studiare in un luogo in cui il personale di segreteria non vanta di qualità tanto umane, allora il percorso che vi separa dal traguardo potrebbe diventare più lungo e, soprattutto, più ripido. Vi ritroverete da soli con un piccolo malloppo di fogli colorati (non certo per mettervi allegria, ma per distinguere l’Infoblatt, foglio di informazioni, dal Musterblatt, facsimile, e dalle varie Erklärungen che si dovranno allegare alla vostra tesi) scritte in Times New Roman 9, per essere generosi, in burocratese stretto, con tanto di asterischi singoli, doppi e addirittura quadrupli che si riferiscono alla Promotionsordnung che è consultabile sulla pagina internet della facoltà – anch’essa, naturalmente, scritta in carattere 9, in burocratese stretto. Una vera gioia.
Come potrete immaginare, io non sono stata tra quelli baciati dalla fortuna e, in questa avventura burocratica, ho dovuto cavarmela da sola. Mi sono detta: “Che cosa sarà mai! Ho già scritto la mia tesi di dottorato, queste sono solo le ultime formalità”. Le ultime parole famose.    
Mi reco così in segreteria, prelevo il suddetto plico di moduli e ritorno a casa armata di dizionario (guai a interpretare male qualcosa!) e tanta pazienza.
Qualche dubbio però mi resta. Il mio contratto non è un contratto qualsiasi perché si tratta di una cotutela tra due università di due nazioni diverse e i moduli si riferiscono soltanto a studenti che hanno studiato esclusivamente in Germania. Non ho scampo dunque: per evitare di fare pasticci devo farmi coraggio, andare nella tana del lupo e domandare.
Tra gli impiegati di segreteria qui ce n’è uno in particolare famoso per terrorizzare studenti e dottorandi, facendoli scappare in lacrime dall’orario di ricevimento. Sul suo conto girano tante voci – si dice addirittura che uno studente abbia abbandonato gli studi perché lui era riuscito rendergli impossibile immatricolarsi regolarmente. Quando sono arrivata in questa università lui era responsabile degli studenti di Bachelor, Master e dottorato, adesso, per motivi misteriosi (ma non troppo), è stato assegnato solo ai dottorandi, isolato dagli altri studenti e da tutti gli altri uffici, nell’ultimo piano dell’edificio, alla fine di una scala di legno scricchiolante. Non ho mai prestato fede a queste voci, “sono solo leggende”, mi sono detta. Del resto avevo già avuto degli incontri ravvicinati con lui e con me non si era mai mostrato particolarmente sgradevole. Sono arrivata persino a difenderlo (e credo di essere stata l’unica a prendere le sue parti, tra tutti gli studenti che conosco) quando qualcuno ne diceva male. Così mi appunto tutte le mie domande su un foglio e l’indomani vado al suo orario di ricevimento. Quello che è successo può essere descritto come una tragicommedia in tre atti.

ATTO I: Non fare domande.
Arrivo davanti alla porta del suo ufficio. Odore di polvere e penombra. Mi faccio coraggio e busso. Lui mi accoglie con un sorriso sghembo e un po’ ironico e mi chiede cosa desidero, non facendomi accomodare. Prendo allora posto di mia iniziativa, saluto di rimando, gli dico che ho finito la mia tesi di dottorato e che, prima di farla stampare, per non commettere degli errori, avrei voluto porgli alcune domande. Lui risponde: “Fragen sind immer schlecht”, che potrei tradurre con domandare non è mai un bene, e il suo seppur ironico sorriso sparisce, lasciando posto a uno sguardo severo. Non aspettavo una risposta di questo tipo, comincio a innervosirmi. Cerco di sottoporgli lo stesso le mie questioni, ma il suo sguardo spazientito mi mette in soggezione, incespico. Lui taglia corto. Mi dice scostante che tutto quello che devo sapere è scritto sui moduli e che se li leggerò attentamente non avrò bisogno di altro e mi mette alla porta.

ATTO II: Le cassette delle lettere non possono leggere.
Ho provato a fare quello che mi ha detto e cercare le risposte alle mie domande nel malloppo di fogli in burocratese del Promotionsverfahren. Ovviamente non le trovo, considerata la mia particolare condizione di dottoranda in cotutela, ma, visto il mio insuccesso in segreteria cerco di cavarmela da sola – chiedendo ogni tanto aiuto ad amiche e amici che si erano già addottorati qui. Soddisfatta del risultato, una bella mattina di fine giugno, vado in copisteria e faccio stampare la tesi. Che emozione trovarmi finalmente “faccia a faccia” con quello che per quattro anni è stato solo nella mia testa e nei file del mio computer! Prendo le copie destinate alla segreteria e ripercorro la nota scala scricchiolante che conduce davanti al temuto ufficio. Mi dico che non ho nulla da temere: ho fatto quello che mi aveva detto e adesso sto portando quanto richiesto dai moduli, durante l’orario di ricevimento.
“Buongiorno”.
“Buongiorno”.
“Ho portato le copie della mia tesi di dottorato”.
La sua faccia è contrariata. Scopro che quello è sì l’orario di ricevimento, ma non quello in cui è permesso ai dottorandi di consegnare le copie dei loro lavori. Era scritto sui moduli, avrei dovuto saperlo. “Capisco” dico “tornerò la prossima settimana allora”. “No” risponde austero “le lasci qui, le metta pure sul pavimento”. Comincio a spazientirmi, ma ripeto gentilmente: “Non c’è problema, ritorno la prossima settimana”. “Le ho detto di lasciarle lì!” ribadisce lui scandendo bene le parole e alzando il tono della voce. Obbedisco e depongo le mie copie dove mi aveva indicato. “Ha allegato anche i moduli?” chiede, e io: “Sì, vuole controllare?”. Mi guarda beffardo: “No. In questo momento io sono come una cassetta delle lettere e le cassette delle lettere non possono né leggere né ascoltare”. “Ok” rispondo mantenendo la calma e un tono pacato “immagino che se dovessero esserci problemi mi contatterete per e-mail o per telefono. Ho scritto tutti i miei dati sui moduli”. Risposta: “Come se non avessimo niente di meglio da fare che scriverLe delle e-mail. Non è questo il mio compito”. Stringo i pugni, ma sorrido. Avrei voluto dirgli “Qual è allora il vostro compito, di grazia? Sono venuta durante il vostro orario di ricevimento, non mentre stavate mangiando un panino in pausa pranzo o facendo merenda. Non sono venuta a ridosso della chiusura, quando stavate già pregustando il divano e una birra. Il vostro compito, durante l’orario di ricevimento per gli studenti, è proprio quello di ricevere gli studenti e rispondere alle loro domande!”. Invece non dico nulla e me ne vado con l’amaro in bocca. “Cosa importa?” mi dico “quello che conta è che io abbia consegnato la tesi, yuhu!”.

ATTO III: Perché non lo hai domandato prima?
Una telefonata mi risveglia dallo stato letargico in cui sono caduta dopo la consegna. È la segreteria. Mi dice che c’è un problema con la copertina della mia tesi. Non avrei dovuto nominare l’università della cotutela, ma attenermi strettamente al facsimile che si trovava tra i documenti del benedetto plico. Gli dico che mi sembrava giusto citare le due università, dal momento che riceverò il titolo da entrambe le istituzioni. Lui dice di no, che mi sarei dovuta attenere al facsimile e non fare di testa mia. Gli rispondo che pensavo che quel facsimile si riferisse soltanto ai dottorandi che hanno studiato esclusivamente in Germania e non a quelli in cotutela. Lui allora mi fa spazientito: “Se era in dubbio perché non ha domandato prima?!”. Certo, come se non ci avessi provato.

Se avete in mente di fare il dottorato in Germania vi dico allora pensateci, pensateci bene. Scrivere la tesi non è nulla in confronto alle (dis)avventure che dovrete affrontare al momento della consegna! Però, ve lo garantisco, ne vale la pena.

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