State scrivendo
la vostra tesi di dottorato in Germania e vi sembra di vedere la fine? Vi
sentite ormai vicini al traguardo? Dovrò deludervi allora e mettervi in
guardia: prima di ottenere l’agognato titolo di “dottore” dovrete fare i conti
con la burocrazia tedesca. Se avrete fortuna, una segretaria gentile e disponibile
risponderà alle vostre domande e chiarirà i vostri dubbi. Se, invece, avete
deciso di studiare in un luogo in cui il personale di segreteria non vanta di
qualità tanto umane, allora il percorso che vi separa dal traguardo potrebbe
diventare più lungo e, soprattutto, più ripido. Vi ritroverete da soli con un
piccolo malloppo di fogli colorati (non certo per mettervi allegria, ma per
distinguere l’Infoblatt, foglio di
informazioni, dal Musterblatt,
facsimile, e dalle varie Erklärungen
che si dovranno allegare alla vostra tesi) scritte in Times New Roman 9, per
essere generosi, in burocratese stretto, con tanto di asterischi singoli, doppi
e addirittura quadrupli che si riferiscono alla Promotionsordnung che è consultabile sulla pagina internet
della facoltà – anch’essa, naturalmente, scritta in carattere 9, in burocratese
stretto. Una vera gioia.
Come potrete immaginare,
io non sono stata tra quelli baciati dalla fortuna e, in questa avventura
burocratica, ho dovuto cavarmela da sola. Mi sono detta: “Che cosa sarà mai! Ho
già scritto la mia tesi di dottorato, queste sono solo le ultime formalità”. Le
ultime parole famose.
Mi reco così in
segreteria, prelevo il suddetto plico di moduli e ritorno a casa armata di
dizionario (guai a interpretare male qualcosa!) e tanta pazienza.
Qualche dubbio
però mi resta. Il mio contratto non è un contratto qualsiasi perché si tratta
di una cotutela tra due università di due nazioni diverse e i moduli si
riferiscono soltanto a studenti che hanno studiato esclusivamente in Germania.
Non ho scampo dunque: per evitare di fare pasticci devo farmi coraggio, andare
nella tana del lupo e domandare.
Tra gli impiegati
di segreteria qui ce n’è uno in particolare famoso per terrorizzare studenti e
dottorandi, facendoli scappare in lacrime dall’orario di ricevimento. Sul suo
conto girano tante voci – si dice addirittura che uno studente abbia
abbandonato gli studi perché lui era riuscito rendergli impossibile
immatricolarsi regolarmente. Quando sono arrivata in questa università lui era
responsabile degli studenti di Bachelor, Master e dottorato, adesso, per motivi
misteriosi (ma non troppo), è stato assegnato solo ai dottorandi, isolato dagli
altri studenti e da tutti gli altri uffici, nell’ultimo piano dell’edificio,
alla fine di una scala di legno scricchiolante. Non ho mai prestato fede a
queste voci, “sono solo leggende”, mi sono detta. Del resto avevo già avuto
degli incontri ravvicinati con lui e con me non si era mai mostrato
particolarmente sgradevole. Sono arrivata persino a difenderlo (e credo di
essere stata l’unica a prendere le sue parti, tra tutti gli studenti che
conosco) quando qualcuno ne diceva male. Così mi appunto tutte le mie domande
su un foglio e l’indomani vado al suo orario di ricevimento. Quello che è
successo può essere descritto come una tragicommedia in tre atti.
ATTO I: Non fare
domande.
Arrivo davanti
alla porta del suo ufficio. Odore di polvere e penombra. Mi faccio coraggio e
busso. Lui mi accoglie con un sorriso sghembo e un po’ ironico e mi chiede cosa
desidero, non facendomi accomodare. Prendo allora posto di mia iniziativa,
saluto di rimando, gli dico che ho finito la mia tesi di dottorato e che, prima
di farla stampare, per non commettere degli errori, avrei voluto porgli alcune
domande. Lui risponde: “Fragen sind immer schlecht”, che potrei tradurre con domandare non è mai un bene, e il suo
seppur ironico sorriso sparisce, lasciando posto a uno sguardo severo. Non
aspettavo una risposta di questo tipo, comincio a innervosirmi. Cerco di
sottoporgli lo stesso le mie questioni, ma il suo sguardo spazientito mi mette
in soggezione, incespico. Lui taglia corto. Mi dice scostante che tutto quello
che devo sapere è scritto sui moduli e che se li leggerò attentamente non avrò
bisogno di altro e mi mette alla porta.
ATTO II: Le
cassette delle lettere non possono leggere.
Ho provato a fare
quello che mi ha detto e cercare le risposte alle mie domande nel malloppo di
fogli in burocratese del Promotionsverfahren.
Ovviamente non le trovo, considerata la mia particolare condizione di
dottoranda in cotutela, ma, visto il mio insuccesso in segreteria cerco di
cavarmela da sola – chiedendo ogni tanto aiuto ad amiche e amici che si erano
già addottorati qui. Soddisfatta del risultato, una bella mattina di fine
giugno, vado in copisteria e faccio stampare la tesi. Che emozione trovarmi
finalmente “faccia a faccia” con quello che per quattro anni è stato solo nella
mia testa e nei file del mio computer! Prendo le copie destinate alla
segreteria e ripercorro la nota scala scricchiolante che conduce davanti al
temuto ufficio. Mi dico che non ho nulla da temere: ho fatto quello che mi
aveva detto e adesso sto portando quanto richiesto dai moduli, durante l’orario
di ricevimento.
“Buongiorno”.
“Buongiorno”.
“Ho portato le
copie della mia tesi di dottorato”.
La sua faccia è
contrariata. Scopro che quello è sì l’orario di ricevimento, ma non quello in
cui è permesso ai dottorandi di consegnare le copie dei loro lavori. Era
scritto sui moduli, avrei dovuto saperlo. “Capisco” dico “tornerò la prossima
settimana allora”. “No” risponde austero “le lasci qui, le metta pure sul
pavimento”. Comincio a spazientirmi, ma ripeto gentilmente: “Non c’è problema,
ritorno la prossima settimana”. “Le ho detto di lasciarle lì!” ribadisce lui scandendo
bene le parole e alzando il tono della voce. Obbedisco e depongo le mie copie
dove mi aveva indicato. “Ha allegato anche i moduli?” chiede, e io: “Sì, vuole
controllare?”. Mi guarda beffardo: “No. In questo momento io sono come una
cassetta delle lettere e le cassette delle lettere non possono né leggere né
ascoltare”. “Ok” rispondo mantenendo la calma e un tono pacato “immagino che se
dovessero esserci problemi mi contatterete per e-mail o per telefono. Ho
scritto tutti i miei dati sui moduli”. Risposta: “Come se non avessimo niente
di meglio da fare che scriverLe delle e-mail. Non è questo il mio compito”.
Stringo i pugni, ma sorrido. Avrei voluto dirgli “Qual è allora il vostro
compito, di grazia? Sono venuta durante il vostro orario di ricevimento, non
mentre stavate mangiando un panino in pausa pranzo o facendo merenda. Non sono
venuta a ridosso della chiusura, quando stavate già pregustando il divano e una
birra. Il vostro compito, durante l’orario di ricevimento per gli studenti, è
proprio quello di ricevere gli studenti e rispondere alle loro domande!”.
Invece non dico nulla e me ne vado con l’amaro in bocca. “Cosa importa?” mi
dico “quello che conta è che io abbia consegnato la tesi, yuhu!”.
ATTO III: Perché
non lo hai domandato prima?
Una telefonata mi
risveglia dallo stato letargico in cui sono caduta dopo la consegna. È la
segreteria. Mi dice che c’è un problema con la copertina della mia tesi. Non
avrei dovuto nominare l’università della cotutela, ma attenermi strettamente al
facsimile che si trovava tra i documenti del benedetto plico. Gli dico che mi
sembrava giusto citare le due università, dal momento che riceverò il titolo da
entrambe le istituzioni. Lui dice di no, che mi sarei dovuta attenere al
facsimile e non fare di testa mia. Gli rispondo che pensavo che quel facsimile
si riferisse soltanto ai dottorandi che hanno studiato esclusivamente in
Germania e non a quelli in cotutela. Lui allora mi fa spazientito: “Se era in
dubbio perché non ha domandato prima?!”. Certo, come se non ci avessi provato.
Se avete in mente
di fare il dottorato in Germania vi dico allora pensateci, pensateci bene. Scrivere
la tesi non è nulla in confronto alle (dis)avventure che dovrete affrontare al momento della consegna! Però, ve lo garantisco, ne
vale la pena.
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