La sveglia suona
alle 4:00 del mattino accompagnata dai quattro secchi rintocchi della campana
della chiesa del villaggio e mi strappa dal mondo sognato per riportarmi in
quello reale. Ci metto qualche secondo per ricordarmi dove sono e perché la
sveglia suona mentre fuori è ancora buio.
La scalata,
giusto.
A tastoni cerco
gli occhiali, li trovo e il inforco. Sento le sveglie suonare anche nella
camera accanto alla mia e in quella di sopra, sbadigli, rumore di passi sul
pavimento di legno scricchiolante della casa di montagna. Pochi minuti e la
casa si anima: un viavai su e giù per le scale, voci stranote, accenti
stranieri. Borracce, corde, torce. “Dimentico niente?” “Chi ha preso le mele?”
“Ricordate di prendere i documenti: passeremo il confine”. Siamo pronti. Esco
per prima di casa e l’oscurità mi ingoia. L’aria è fredda e mi pizzica la
pelle. Tiro su il cappuccio della mia giacca a vento azzurra. Osservo il
profilo delle Alpi imponenti, misteriose, minacciose. Dei giganti muti e
immobili. Mi sembrano mura invalicabili – riuscirò davvero oggi ad arrivare fin
lassù?
Ci mettiamo in macchina e guidiamo fino a un paese vicino, da dove inizia
il sentiero del nostro percorso. “Lass
uns gehen, andiamo” dice la nostra guida e ci immergiamo nel bosco.
Il sole non ha
ancora rischiarato le cime e queste prime ore del mattino hanno ancora i colori
della notte. Accendiamo le torce frontali per non inciampare in qualche sasso o
radice sulla via. Intorno a noi il bosco vive: sentiamo i rumori degli animali
che fuggono sentendoci arrivare, che ci osservano guardinghi nascosti dietro ai
cespugli. Qualche uccello canta, c’è odore di foglie umide e di terreno. Lui ci
precede con passo deciso sul sentiero in salita, sicuro e veloce, quasi
camminasse su una strada pianeggiante. Io arranco un po’ e lotto ancora contro
il sonno, ma riesco a tenergli dietro.
La salita è dura:
sento gli scarponi da trekking che strofinano dolorosamente i miei talloni, i
quattro chili liquidi che porto sulle spalle – la riserva d’acqua della nostra
avventura – rendono più pesanti i miei passi. Piano piano il sole si affaccia
sulle cime. Mi fermo per guardare il mondo che prende colore, le forme
delinearsi: uno spettacolo meraviglioso che non avevo visto prima, mai. Rimango
qualche minuto ferma, imbambolata.
“Schnell, veloce” mi dicono da dietro:
dobbiamo sbrigarci a salire prima che il sole inizi a bruciare. Giusto,
andiamo. Lentamente superiamo il limite del bosco. Niente più alberi intorno a
noi, solo piccoli cespugli, fiori alpini, rocce. Mi sono già liberata della
torcia frontale e della giacca a vento. Ormai il sole è alto nel cielo, ma tira
vento e non sentiamo la potenza dei suoi raggi.
Finalmente
facciamo la prima pausa. Mai l’acqua mi è sembrata così fresca, mai una mela
così succosa e fragrante. La mordo e la mastico guardando il panorama e non mi
pento di avere abbandonato alle 4 del mattino il tepore del letto. Anche gli
altri stanno mangiando: chi seduto su una roccia, chi sdraiato sull’erba.
Manca però ancora un bel po’ alla cima così, nonostante i piedi già doloranti e le gambe stanche ci rimettiamo in cammino. Sono le 12:30 quando arriviamo a una biforcazione: un sentiero porta in basso e poi nuovamente in salita verso la nostra meta e un altro (che si riconosce appena tra l’erba e i cespugli) che si inerpica su per la montagna e più che un percorso da trekking sembra un sentierino per capre. E infatti eccole lì le capre, in alto, sopra di noi, che mangiano tranquille o si rilassano sotto il sole appollaiate su rocce decisamente in bilico – mi vengono le vertigini solo a guardarle! All’improvviso, in mezzo a tutto quel belare, sentiamo una voce umana. Alziamo lo sguardo e finalmente distinguiamo la figura di un pastore: un ragazzetto di sedici anni o giù di lì che corre su e giù senza sforzo apparente sul sentiero ripidissimo per raccogliere le capre e riportarle a valle. Mi torna in mente Peter del cartone animato Heidi, che guardavo da bambina. Improvvisamente mi sento goffa e pesante: a guardare lui sembra così facile inerpicarsi per quei sentieri di montagna, mentre io avevo faticato tanto (e fino a quel momento ero anche abbastanza orgogliosa della mia prestazione) per arrivare fin lì. Ma tant’è. Cancello mentalmente “pastorella” dalla lista dei lavori che potrei fare “da grande” e saluto il professionista. Lui ci saluta di rimando e ne approfittiamo per chiedere informazioni sui sentieri. Lui ci dice: la via che va in discesa e poi nuovamente in salita è molto più lunga, ma sicuramente più facile e più bella. L’altra via (il sentierino per capre, per intenderci) è più breve, ma molto più pericoloso. Detto questo sparisce in quattro balzi, insieme alle sue capre. Noi ci guardiamo un po’ titubanti che cosa fare?
Manca però ancora un bel po’ alla cima così, nonostante i piedi già doloranti e le gambe stanche ci rimettiamo in cammino. Sono le 12:30 quando arriviamo a una biforcazione: un sentiero porta in basso e poi nuovamente in salita verso la nostra meta e un altro (che si riconosce appena tra l’erba e i cespugli) che si inerpica su per la montagna e più che un percorso da trekking sembra un sentierino per capre. E infatti eccole lì le capre, in alto, sopra di noi, che mangiano tranquille o si rilassano sotto il sole appollaiate su rocce decisamente in bilico – mi vengono le vertigini solo a guardarle! All’improvviso, in mezzo a tutto quel belare, sentiamo una voce umana. Alziamo lo sguardo e finalmente distinguiamo la figura di un pastore: un ragazzetto di sedici anni o giù di lì che corre su e giù senza sforzo apparente sul sentiero ripidissimo per raccogliere le capre e riportarle a valle. Mi torna in mente Peter del cartone animato Heidi, che guardavo da bambina. Improvvisamente mi sento goffa e pesante: a guardare lui sembra così facile inerpicarsi per quei sentieri di montagna, mentre io avevo faticato tanto (e fino a quel momento ero anche abbastanza orgogliosa della mia prestazione) per arrivare fin lì. Ma tant’è. Cancello mentalmente “pastorella” dalla lista dei lavori che potrei fare “da grande” e saluto il professionista. Lui ci saluta di rimando e ne approfittiamo per chiedere informazioni sui sentieri. Lui ci dice: la via che va in discesa e poi nuovamente in salita è molto più lunga, ma sicuramente più facile e più bella. L’altra via (il sentierino per capre, per intenderci) è più breve, ma molto più pericoloso. Detto questo sparisce in quattro balzi, insieme alle sue capre. Noi ci guardiamo un po’ titubanti che cosa fare?
Dopo qualche minuto di esitazione
decidiamo, quasi unanimemente, di tentare la fortuna su per il sentiero delle
capre…
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