mercoledì 24 maggio 2017

Happy birthday to me


La sveglia suona alle 7:15. Apro gli occhi e mi tocco il volto. È ancora tutto come lo avevo lasciato ieri: occhi, naso, bocca, orecchie, tutto a posto. Mi alzo, allora, e vado davanti allo specchio. Anche la me stessa riflessa sulla superficie mi conferma che apparentemente nulla è cambiato: la mia pelle è quella di ieri, nessuna ruga in più, niente zampe di gallina intorno agli occhi ancora pieni di sonno. A quei pochi capelli bianchi, che popolano la mia chioma già dal mio 21 anno di vita, sembrano non essersene aggiunti altri. Tutto come prima, dunque. Del resto non è ancora questo l’anno in cui completerò il primo ventennio della mia esistenza. Appurato che io sia ancora la io di sempre, sono pronta per affrontare il mondo. La sensazione che in questo preciso giorno dell’anno qualcosa di sorprendente debba accadere è legata, credo, alla mia infanzia.


Da piccola ero convinta che il giorno del mio compleanno fosse una specie di festa nazionale: venivo festeggiata, con grande entusiasmo, innumerevoli volte da parenti ed amici: la mattina, a scuola, mia mamma portava una torta, rubando, con grande felicità dei piccoli discepoli, qualche minuto alla lezione di italiano o di matematica; in tavola, per pranzo, c’era il mio piatto preferito; ancora una torta a casa dei nonni materni; una piccola festa nel salotto di casa con una ventina di ragazzini urlanti, tra bambini del vicinato e compagni di scuola; la domenica seguente ancora una torta a casa dei nonni paterni, nel paese di mio papà.
Già qualche giorno prima dell’evento mia mamma mi coinvolgeva nei preparativi della festa in salotto: gonfiavamo insieme un sacco di palloncini colorati con i quali riempivamo la stanza, allora ancora completamente vuota. Facevamo la lista degli invitati, andavamo in pasticceria a scegliere la torta. Che gioia! Maggio era senz’altro il mio mese preferito.
Accoglievo quei festeggiamenti con curiosità ed eccitazione e mi dicevo che doveva trattarsi senz’altro di un giorno eccezionale, dal momento che tutti intorno a me si prodigavano coì tanto per la riuscita della festa. Anche il tempo ci metteva del suo: il sole si faceva più caldo, sbocciavano i fiori, le giornate diventavano lunghe e si poteva andare in bicicletta o giocare in cortile fino a sera. Ad alimentare l’illusione che fosse un giorno particolare c’erano anche i fuochi d’artificio che, nel mio piccolo paese, rischiaravano il cielo notturno di ogni 24 maggio. Mio papà mi disse una volta che quell’esplosione di colori e luccichii fosse per me – e io per qualche anno ci credetti.
Ovviamente non era così: il giorno del mio compleanno, nel mio paese dell’entroterra siciliano, coincide con una festa religiosa molto sentita, che si concludeva sempre con dei fuochi d’artificio. Non so se sia ancora così, sono via ormai da tanto tempo. Ricordo però che fui molto delusa quando, crescendo, scoprii che il mio compleanno non fosse una festa nazionale, ma un giorno come tanti, che, nel corso della mia vita da adulta, molti avrebbero dimenticato e che avrebbe segnato soltanto una cifra in più sul mio contatore biologico. Tuttavia mi adattai presto, nemmeno troppo a malincuore, a questa realtà.
Ma devo confessare che, ogni 24 maggio, c’è ancora una piccola parte di me in trepida attesa di qualcosa, che aspetta che la scintilla di magia si manifesti. C’è la sensazione che in questo giorno qualche cosa accadrà, fosse anche insignificante agli occhi degli altri. Così, anche oggi, apro la finestra e porgo la guancia al sole di maggio, che non ha mai smesso di festeggiarmi, e faccio correre lo sguardo sui tetti delle case, cercando di stanare la magia da tutti i suoi nascondigli e le sorrido piena di curiosità.

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