La sveglia suona
alle 7:15. Apro gli occhi e mi tocco il volto. È ancora tutto come lo avevo
lasciato ieri: occhi, naso, bocca, orecchie, tutto a posto. Mi alzo, allora, e
vado davanti allo specchio. Anche la me stessa riflessa sulla superficie mi
conferma che apparentemente nulla è cambiato: la mia pelle è quella di ieri,
nessuna ruga in più, niente zampe di gallina intorno agli occhi ancora pieni di
sonno. A quei pochi capelli bianchi, che popolano la mia chioma già dal mio 21
anno di vita, sembrano non essersene aggiunti altri. Tutto come prima, dunque.
Del resto non è ancora questo l’anno in cui completerò il primo ventennio della
mia esistenza. Appurato che io sia ancora la io di sempre, sono pronta per
affrontare il mondo. La sensazione che in questo preciso giorno dell’anno
qualcosa di sorprendente debba accadere è legata, credo, alla mia infanzia.
Da piccola ero
convinta che il giorno del mio compleanno fosse una specie di festa nazionale:
venivo festeggiata, con grande entusiasmo, innumerevoli volte da parenti ed
amici: la mattina, a scuola, mia mamma portava una torta, rubando, con grande felicità
dei piccoli discepoli, qualche minuto alla lezione di italiano o di matematica;
in tavola, per pranzo, c’era il mio piatto preferito; ancora una torta a casa
dei nonni materni; una piccola festa nel salotto di casa con una ventina di
ragazzini urlanti, tra bambini del vicinato e compagni di scuola; la domenica seguente
ancora una torta a casa dei nonni paterni, nel paese di mio papà.
Già qualche
giorno prima dell’evento mia mamma mi coinvolgeva nei preparativi della festa
in salotto: gonfiavamo insieme un sacco di palloncini colorati con i quali
riempivamo la stanza, allora ancora completamente vuota. Facevamo la lista degli
invitati, andavamo in pasticceria a scegliere la torta. Che gioia! Maggio era
senz’altro il mio mese preferito.
Accoglievo quei
festeggiamenti con curiosità ed eccitazione e mi dicevo che doveva trattarsi
senz’altro di un giorno eccezionale, dal momento che tutti intorno a me si prodigavano
coì tanto per la riuscita della festa. Anche il tempo ci metteva del suo: il
sole si faceva più caldo, sbocciavano i fiori, le giornate diventavano lunghe e
si poteva andare in bicicletta o giocare in cortile fino a sera. Ad alimentare l’illusione
che fosse un giorno particolare c’erano anche i fuochi d’artificio che, nel mio
piccolo paese, rischiaravano il cielo notturno di ogni 24 maggio. Mio papà mi
disse una volta che quell’esplosione di colori e luccichii fosse per me – e io
per qualche anno ci credetti.
Ovviamente non
era così: il giorno del mio compleanno, nel mio paese dell’entroterra siciliano,
coincide con una festa religiosa molto sentita, che si concludeva sempre con
dei fuochi d’artificio. Non so se sia ancora così, sono via ormai da tanto
tempo. Ricordo però che fui molto delusa quando, crescendo, scoprii che il mio
compleanno non fosse una festa nazionale, ma un giorno come tanti, che, nel
corso della mia vita da adulta, molti avrebbero dimenticato e che avrebbe
segnato soltanto una cifra in più sul mio contatore biologico. Tuttavia mi
adattai presto, nemmeno troppo a malincuore, a questa realtà.
Ma devo
confessare che, ogni 24 maggio, c’è ancora una piccola parte di me in trepida
attesa di qualcosa, che aspetta che la scintilla di magia si manifesti. C’è la
sensazione che in questo giorno qualche cosa accadrà, fosse anche
insignificante agli occhi degli altri. Così, anche oggi, apro la finestra e porgo
la guancia al sole di maggio, che non ha mai smesso di festeggiarmi, e faccio
correre lo sguardo sui tetti delle case, cercando di stanare la magia da tutti
i suoi nascondigli e le sorrido piena di curiosità.
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