domenica 14 maggio 2017

La partita a poker


Chi mi conosce lo sa: l’opera è una delle mie più grandi passioni. Quest’inverno, a Vienna con una mia amica, ho giocato carte false per ottenere, da uno dei tipi loschi vestiti di rosso (altrimenti noti come bagherini), dei biglietti economici per assistere alla rappresentazione del Barbiere di Siviglia di Rossini al Teatro dell’Opera. Iniziamo a contrattare in mezzo alla strada, quando lui ci propone, per un prezzo esorbitante, dei biglietti per uno spettacolo turistico (valzer di Strauß, arie di Puccini e l’immancabile Libiamo i lieti calici! di Verdi) in una sala dove, sosteneva l’elegante signore, una volta aveva suonato (o potrebbe aver suonato) Mozart (ma davvero? Che sorpresa, siamo a Vienna…). Quando lui capisce che sono irremovibile si guarda intorno circospetto e ci dice di seguirlo. La mia amica non parla il tedesco, non ha capito nulla della nostra conversazione e cammina accanto a me un po’ intimorita pensando che forse non era troppo prudente seguire quello strano tizio che abbandonava la strada centrale per entrare in un grande palazzo anonimo. Non vorrei trascinarla in un pasticcio, ma ho un gutes Gefühl, un buon presentimento, che, unito all’eccitazione di trovarmi finalmente a Vienna, mi suggerisce di non demordere. Il tipo losco ci conduce da un tipo ancora più losco che comincia a giocare con me quella che, agli occhi della mia amica, sembrava una partita a poker. Punto al ribasso. Vinco. La carta vincente è, sorprendentemente, la mia provenienza dal più profondo sud dell’Italia. Quando il tizio ne viene a conoscenza mi mostra con aria complice un tatuaggio sospetto, di cui non comprendo il significato. Tuttavia annuisco fingendo di capire. Lui è contento, ci dà i biglietti insieme al suo numero di telefono, che cestino appena girato l’angolo. La mia amica tira un respiro di sollievo e io faccio salti di gioia. Caro barbiere, stiamo arrivando!
Sulla strada istruisco la mia interlocutrice (che, a sua volta, durante il nostro breve soggiorno, mi aveva istruita sulla storia dell’impero asburgico e sulle vicende, pubbliche e private, della famiglia imperiale) sulla trama, canticchio le arie, parlo dei cantanti. Non riesco a contenere l’entusiasmo. Tanto che a un certo punto lei mi chiede: “Ma l’hai ascoltata così tante volte, come fa a non venirti a noia?”. Domanda legittima, ma lì per lì non riesco a darle una risposta convincente. Le parlo delle diverse messe in scena dei registi che amo, delle interpretazioni dei cantanti, dell'emozione del teatro, ma non riesco a centrare il punto con le parole, mi sento parlare e mi trovo noiosa. Che cos’è questa cosa che non riesco ad esprimere? Come spiegarle che ogni momento della mia vita è scandito dalle note cantate di Mozart, Händel, Verdi, Rossini e Wagner?
Finalmente è ora, entriamo nel teatro gremito di gente. C’è tutta la buona società viennese e noi siamo lì, con indosso i nostri vestiti di fortuna, imbacuccate per resistere al gelo austriaco, un po’ turiste e un po’ barbone, ma ci sentiamo delle gran dame. Prendiamo posto, si apre il sipario, lo spettacolo ha inizio. Chiudo gli occhi durante l’overture, lascio che ogni singola nota mi attraversi, la lascio vibrare dentro di me. Apro gli occhi e anche il mio sguardo si riempie di musica. La mia amica mi guarda e capisce quello che poco prima non avevo saputo spiegarle a parole. E in un attimo sono già di là.


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